Le Origini.

Nel 1500 sono numerosi i bergamaschi presenti a Roma: operai, artigiani, mercanti di lane e di seta, corrieri, magistrati, uomini d’armi, di lettere e di chiesa. Alcuni di essi, per impulso specialmente del canonico Giovanni Giacomo Tasso, prozio del famoso poeta Torquato, decidono nell’anno 1539 di dar vita ad una "Compagnia", che assumerà in seguito la denominazione di "Venerabile Arciconfraternita dei Santi Bartolomeo e Alessandro della Nazione Bergamasca", con lo scopo di assistere nei loro bisogni religiosi, morali e materiali quei cittadini del distretto di Bergamo che avevano preso in Roma stabile dimora, e di tenere sempre vivi l’amore ed il culto della propria Nazione. Gruppi del genere hanno grande sviluppo nella Roma del XVI secolo. I bergamaschi ottengono dal Capitolo di San Pietro in Vaticano la chiesetta di San Macuto come loro sede ("istromento" redatto il 14 agosto 1539 dal notaio Francesco Spina); l’edificio viene da loro restaurato e vengono aggiunti un locale per gli incontri spirituali (l’ “oratorio”) ed un ospedaletto (1544).
Per le tante benemerenze che acquisisce in ambito religioso, culturale e caritativo la Confraternita si meritò pubblicamente la benevolenza dei Sommi Pontefici che le elargirono diversi privilegi e la insignirono del titolo di Arciconfraternita.

Da San Macuto a Piazza Colonna.

La Compagnia non conosce difficoltà di rilievo fino ai primi decenni del XVIII secolo, quando i Gesuiti fanno pressione sul Papa per avere la chiesa di San Macuto, necessaria al Seminario da loro diretto. Nel 1725 un decreto di Papa Benedetto XIII impone ai Bergamaschi di cedere ai Gesuiti la chiesetta di San Macuto insieme all’ospedale.
Tuttavia, grazie all’appassionata resistenza organizzata dall'Arciconfraternita e all’impegno del sacerdote bergamasco, futuro Cardinale, Alessandro Furietti, Benedetto XIII permise che i Bergamaschi rimanessero ancora per qualche anno nella loro sede ed obbligò i Gesuiti a corrispondere una indennità di esproprio con la quale l’Arciconfraternita riesce ad acquistare la Chiesa di Santa Maria della Pietà, in Piazza Colonna, con l’annesso “Ospedale dei Pazzarelli”, già trasferitosi in Via della Lungara.
L’Arciconfraternita diventa quindi proprietaria di quel complesso di fabbricati che sorgono attualmente nella zona compresa tra Piazza e Via di Pietra, Via dei Bergamaschi e Piazza Colonna. Su disegno dell’architetto Gabriele Valvassori la Compagnia dei Bergamaschi rifabbrica la Chiesa, aggiungendovi al titolo di Santa Maria della Pietà quello dei Santi Bartolomeo e Alessandro, e restaura l’edificio annesso destinandolo ad ospedale per gli infermi e i pellegrini bergamaschi.
Nel 1733 viene inaugurato l’oratorio; il mobilio di quello cinquecentesco costruito in San Macuto fu smontato e riadattato in una nuova sala all’interno dell’edificio di Via di Pietra.
Nel contempo si arricchisce il patrimonio del Sodalizio, costituito in gran parte dai lasciti di immobili donati dai propri confratelli nonché da persone semplici affinché si preghi per l’anima propria e si soccorrano i parenti e i conterranei bisognosi.

Un volto nuovo.

L’Arciconfraternita attraversa le varie vicissitudini che caratterizzano i secoli successivi.
Nei primi anni del XIX secolo la Compagnia conosce un lento declino. Alla crisi contribuiscono anche le truppe napoleoniche che, entrate in Roma nel 1809 le tolgono l'amministrazione del patrimonio. Il Governo Francese vende poi parte del patrimonio immobiliare del Sodalizio.
Ripristinato in Roma nel 1814 lo Stato Pontificio i bergamaschi, rientrano in possesso degli immobili di loro proprietà non alienati dai francesi. La gestione dei beni lascia a desiderare e la situazione amministrativa e contabile appare disastrosa; la confraternita più che un istituzione da servire con spirito di umiltà e sacrificio divenne per molti un luogo ove attingere senza riguardo.
Le cose migliorano decisamente grazie al Cardinale Fabio Asquini il quale, nominato protettore nel 1847, fatica ma riesce a ripristinare l'ordine e la disciplina.
Alla fine del secolo sono due i fatti che principalmente movimentano le vicende dell'Arciconfraternita. Il primo è una vertenza al Tribunale civile di Roma tra i Guardiani del Sodalizio, oggi chiamati "Consiglieri", e il Vescovo di Bergamo in merito al "Nobile Collegio Cerasoli". I primi tentano infatti di trasformare il Collegio in una sorta di borsa di studio per i figli dei Confratelli. La Corte di Cassazione dà ragione al Vescovo. Il secondo fatto è la riforma, per nulla indolore, dello Statuto, che era rimasto immutato dal XVI secolo.
Nel 1890 la legge Crispi impone alle opere pie (più tardi denominate I.P.A.B.) di sottoporre il proprio statuto all’autorità tutoria presso la prefettura. Anche l’Arciconfraternita deve adeguarsi alla legge. Nel corso dell'impresa si contrappongono i "tradizionalisti", decisi a mantenere le caratteristiche di associazione di culto e i "riformatori", che desiderano invece dare al Sodalizio la fisionomia di ente di beneficenza.
Si arriva così al nuovo statuto approvato il 30 maggio del 1915 con il quale l'Arciconfraternita assume il volto di una società di mutua assistenza e beneficenza, oltre che di ente volto a tener vivo nei propri membri l'affetto per la terra d'origine.

Il Ventesimo Secolo.

Per l'Arciconfraternita il personaggio più significativo del secolo appena trascorso è certamente Papa Giovanni XXIII. Da quando giunge nella Capitale nel 1901 presso il Seminario Romano, grazie all’assegnazione di una borsa di studio del Collegio Cerasoli, a quando è nominato Vicario Apostolico in Bulgaria, Angelo Giusepe Roncalli segue sempre con grande affetto il Sodalizio. Da Papa ne riceverà i soci in una indimenticabile Udienza il 13 gennaio 1963.
All'inizio degli anni '80 si avvia un progetto globale di rinnovamento che comporta una riflessione profonda sull'identità e sul ruolo del Sodalizio, l'inizio di un dialogo con Roma e lo stabilirsi di un rapporto nuovo e più intenso con Bergamo. Il nuovo Statuto, approvato dall'assemblea dei soci nel novembre 1985, assegna al Sodalizio le seguenti finalità: mantenere e promuovere la vita associativa dei bergamaschi in Roma e provincia, operare per la formazione integrale della persona, mantenere e promuovere tra i soci i valori della famiglia e della civile convivenza, secondo la tradizione del popolo bergamasco.
Degno di nota è il fatto che per la prima volta anche le donne vengono ammesse a pieno titolo a partecipare alla vita dell'associazione.
L'Arciconfraternita assume in seguito la fisionomia di "associazione civilmente riconosciuta", con l’acquisizione di personalità giuridica di diritto privato.

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